sabato 19 dicembre 2009
LE OCCASIONI PERDUTE
Dai ai giorni per anni la giusta data
alle date per anni la giusta sonorita'
alle sonorita' per anni il giusto ritmo
al ritmo per anni il giusto passo
al passo per anni la giusta scarpa
alla scarpa per anni la giusta scatola
alla scatola per anni il giusto fiocco
al fiocco per anni il giusto colore
al colore per anni il giusto pennello
al pennello per anni la giusta acqua
all'acqua per anni la giusta sete
alla sete per anni la giusta bocca
alla bocca per anni le giuste labbra
alle labbra per anni il giusto bacio
al bacio per anni il giusto sapore
al sapore per anni il giusto ricordo
al ricordo per anni la giusta polvere
e quando di giusti anni
(ed ogni giorno era quello sbagliato)
hai solo una data cosparsa di polvere
i prezzi da pagare verranno a rate
e senza nessuna indulgenza,
non e' certo quella che meriti.
i giorni non li vivevi, ma li contavi,
le date le sbagliavi,
le sonorita' non le ascoltavi,
il ritmo non lo prendevi,
il passo non lo facevi,
la scarpa non la indossavi,
la scatola non la chiudevi,
il fiocco non lo legavi,
il colore non lo vedevi,
il pennello lo spezzavi,
l'acqua la versavi,
la sete non la sentivi,
la bocca non la cercavi,
le labbra non le avevi,
il bacio non lo volevi,
il sapore lo deglutivi,
il ricordo lo dimenticavi
e la polvere era tutto cio' che ammiravi.
(hai solo una data cosparsa di polvere
sull'infinito dei tuoi calendari...)
lunedì 7 dicembre 2009
E lo so che non vi può importare più di tanto, ma io ci sono stata male, per Paul Newman. Era uno dei miei amori, quando il mondo si divideva ancora in paulnewmaniste e robertredfordiste: loro due già erano in là con gli anni, ma i loro film erano – come sono – giovanissimi.
Non so voi, ma l’adolescenza mi si è chiarita di parecchio, quando ho visto La lunga estate calda: ho scoperto che c’era un incendiario sotto la pelle che scottava senza preavviso né significato ma misteriosa connessione, c’entravano gli occhi azzurri, il muso spaccone ma incongruamente indifeso di Paul nel cui broncio naturale s’annidava un’imprecisata fragilità.
Non posso dire che lo amavo: piuttosto, lo subivo interamente, come si fa col peso d’un immaginario soverchiante. E come soverchiava, lui: quando s’inseguiva per le stanze, in quella danza di desiderio trattenuto, d’una frustrazione che non capivo ma riconoscevo, con la gatta Liz che scottava.
Insomma, io non credo che sia morto.
E ne approfitto per fare un bilancio, di vivi e morti.
Sono indiscutibilmente vivi:
Marlon Brando: lo posso sentire distintamente sul terrazzo, mentre dà da mangiare ai piccioni di Fronte del porto. Il cuoio del suo berretto fa un odore riconoscibile, e il subbuglio che mette. E’ della stessa famiglia di Paul, sono fratelli di schermo, di feromone, di cose non dette e raccolte in un punto imprecisabile tra le labbra e le sopracciglia, per esempio.
Einstein: lo si incontra dappertutto. Sono quasi certa che sia lui, con una paglietta sfondata e un bastone da passeggio, sul lungomare di Reggio Calabria, a contare le specie di insetti ignoti nei buchi delle piante millenarie.
Cary Grant: lui sta per lo più seduto al volante di una decappottabile, senza un capello fuori posto e la cravatta sulla spalla in compagnia di qualche bionda col foulard in testa. Se gli chiedi perché sta sempre lì a perdere tempo ti risponde che sta lavorando. Il suo lavoro è credere nei miracoli.
Che Guevara: a volte mi chiede se ho da accendere, e io devo rubare l’accendigas dal cassetto della cucina, e ricordargli che non si fuma in casa. Lui se ne frega, e continua a leggere Goethe a piedi nudi, con un sibilo impercettibile nei polmoni. O forse è il foro della pallottola, nel petto. Hai la maglia bucata, gli dico. Sapessi il cuore, mi risponde invariabilmente.
Totò: è una specie di zio, da sempre. Hai aperto la parente? Mi chiede qualche volta. Sì, zio Totò. E chiudila allora, mi fa dall'altra stanza. Io sorrido, e chiudo lo sportello della zia.
Leonardo: sta costruendo un’Arca molto laboriosa, che riassume tutte le sue macchine da guerra e da bellezza, con una polena Monna Lisa che gli consentirà di solcare i cieli, e molte biciclette stellari che ci consentiranno di girare attorno alle costellazioni, e prenderne nota per i suoi disegni a china.
Astor Piazzolla: suona i suoi tanghi ogni sera, spostando appena la rosa rossa posata sul pianoforte. La yumba rompe i muri della dittatura, piano piano, in quattro quarti.
Mia nonna Zara: dà ordini come se avesse ancora ottant’anni, e una famiglia mezza umana e mezza no a sua completa disposizione. Legge il futuro, e, cosa più sorprendente, il passato. Non il suo, ovviamente.
Sandra Dee: ha sempre una media di sedici anni, e ci rammenta che il mondo ha, costantemente, sedici anni, vaniglia e legno verde.
Jane Austen: è un punto di riferimento per noi ragazze. Basta sollevare il telefono e chiamarla: conosce tutto degli uomini e delle donne. Quindi non ci sorprende che continui a non maritarsi. “Figuriamoci - dice lei - devo ancora finire il capitolo".
Pablo Neruda: se, poniamo il caso, ti serve una parola, lui ce l’ha. Una parola banale come “cesta”, “ciliegio”, “gatto”: cercala, e poi vedi cos’è capace di farci, lui. Passa il suo tempo in un terrazzo invaso da rose carnivore, polene sospirose e sale oceanico, ma non ti dirà mai che non ha tempo per te o la tua collezione di domande.
Non so voi, ma l’adolescenza mi si è chiarita di parecchio, quando ho visto La lunga estate calda: ho scoperto che c’era un incendiario sotto la pelle che scottava senza preavviso né significato ma misteriosa connessione, c’entravano gli occhi azzurri, il muso spaccone ma incongruamente indifeso di Paul nel cui broncio naturale s’annidava un’imprecisata fragilità.
Non posso dire che lo amavo: piuttosto, lo subivo interamente, come si fa col peso d’un immaginario soverchiante. E come soverchiava, lui: quando s’inseguiva per le stanze, in quella danza di desiderio trattenuto, d’una frustrazione che non capivo ma riconoscevo, con la gatta Liz che scottava.
Insomma, io non credo che sia morto.
E ne approfitto per fare un bilancio, di vivi e morti.
Sono indiscutibilmente vivi:
Marlon Brando: lo posso sentire distintamente sul terrazzo, mentre dà da mangiare ai piccioni di Fronte del porto. Il cuoio del suo berretto fa un odore riconoscibile, e il subbuglio che mette. E’ della stessa famiglia di Paul, sono fratelli di schermo, di feromone, di cose non dette e raccolte in un punto imprecisabile tra le labbra e le sopracciglia, per esempio.
Einstein: lo si incontra dappertutto. Sono quasi certa che sia lui, con una paglietta sfondata e un bastone da passeggio, sul lungomare di Reggio Calabria, a contare le specie di insetti ignoti nei buchi delle piante millenarie.
Cary Grant: lui sta per lo più seduto al volante di una decappottabile, senza un capello fuori posto e la cravatta sulla spalla in compagnia di qualche bionda col foulard in testa. Se gli chiedi perché sta sempre lì a perdere tempo ti risponde che sta lavorando. Il suo lavoro è credere nei miracoli.
Che Guevara: a volte mi chiede se ho da accendere, e io devo rubare l’accendigas dal cassetto della cucina, e ricordargli che non si fuma in casa. Lui se ne frega, e continua a leggere Goethe a piedi nudi, con un sibilo impercettibile nei polmoni. O forse è il foro della pallottola, nel petto. Hai la maglia bucata, gli dico. Sapessi il cuore, mi risponde invariabilmente.
Totò: è una specie di zio, da sempre. Hai aperto la parente? Mi chiede qualche volta. Sì, zio Totò. E chiudila allora, mi fa dall'altra stanza. Io sorrido, e chiudo lo sportello della zia.
Leonardo: sta costruendo un’Arca molto laboriosa, che riassume tutte le sue macchine da guerra e da bellezza, con una polena Monna Lisa che gli consentirà di solcare i cieli, e molte biciclette stellari che ci consentiranno di girare attorno alle costellazioni, e prenderne nota per i suoi disegni a china.
Astor Piazzolla: suona i suoi tanghi ogni sera, spostando appena la rosa rossa posata sul pianoforte. La yumba rompe i muri della dittatura, piano piano, in quattro quarti.
Mia nonna Zara: dà ordini come se avesse ancora ottant’anni, e una famiglia mezza umana e mezza no a sua completa disposizione. Legge il futuro, e, cosa più sorprendente, il passato. Non il suo, ovviamente.
Sandra Dee: ha sempre una media di sedici anni, e ci rammenta che il mondo ha, costantemente, sedici anni, vaniglia e legno verde.
Jane Austen: è un punto di riferimento per noi ragazze. Basta sollevare il telefono e chiamarla: conosce tutto degli uomini e delle donne. Quindi non ci sorprende che continui a non maritarsi. “Figuriamoci - dice lei - devo ancora finire il capitolo".
Pablo Neruda: se, poniamo il caso, ti serve una parola, lui ce l’ha. Una parola banale come “cesta”, “ciliegio”, “gatto”: cercala, e poi vedi cos’è capace di farci, lui. Passa il suo tempo in un terrazzo invaso da rose carnivore, polene sospirose e sale oceanico, ma non ti dirà mai che non ha tempo per te o la tua collezione di domande.
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- "...la più ingenua delle bambine, la più libera delle schiave, la più innocente delle puttane, la più eretica delle sante, la più folle creatrice di tele astratte e parole mai dimenticate, la più fiera signora di vetri infranti e nodi custoditi in un cassetto, la più inquieta sposa di venti e maree ribelli, la più eccentrica regina di idealismi, senza corona e senza terra..."
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